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 morire di carcere (pt2) 
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"RISTRETTI NEWS"
NOTIZIARIO QUOTIDIANO DAL E SUL CARCERE


Realizzato dall'Associazione di Volontariato "Granello di Senape Padova" - Redazione di "Ristretti Orizzonti"
in collaborazione con la Conferenza Regionale Volontariato Giustizia e grazie al finanziamento della Regione
Veneto, del C.S.V. di Padova e del Comitato di Gestione del Fondo Speciale per il Volontariato del Veneto





Morire di carcere: dossier 2009

Nei primi 7 mesi dell'anno si sono uccisi 45 detenuti


I suicidi in carcere sono in "lieve riduzione", come sostiene il Sottosegretario Caliendo che, rispondendo ad una interrogazione dei deputati Udc Roberto Rao e Michele Vietti, in Commissione Giustizia della Camera, ha affermato: "malgrado il crescente sovraffollamento, vi è stata una lieve riduzione" (dei suicidi - ndr)?

Secondo noi è esattamente il contrario, a fine anno probabilmente avremo il numero più alto di detenuti suicidi mai registrato nelle carceri italiane. Dall’inizio dell’anno ad oggi nel Centro Studi di "Ristretti Orizzonti" abbiamo già "registrato" (e documentato) 45 suicidi nelle carceri, ed alcuni altri casi ci sono sicuramente sfuggiti, come prova quello del detenuto nigeriano a Torino, mentre in tutto l’anno 2008 i suicidi "ufficialmente riconosciuti" furono 42.

Va detto che nel nostro dossier "Morire di carcere" lo scorso anno abbiamo documentato il suicidio di 48 detenuti, la differenza è data dal fatto che per il Ministero della Giustizia sono "suicidi in carcere" soltanto i casi nei quali il detenuto viene ritrovato già cadavere, oppure muore prima di essere caricato sulla autoambulanza: nel momento in cui il detenuto esce dall’istituto (anche se in coma profondo) scompare dalle statistiche dei suicidi in carcere.

Nel nostro Dossier invece, consideriamo "suicidi in carcere" anche i casi dei detenuti che muoiono durante il trasposto all’ospedale, oppure dopo alcuni giorni di ricovero senza riprendersi dal coma, come è successo il 12 luglio scorso, ad Imperia, per il detenuto algerino Dibe Rachid Salah.

Dal grafico che vedete sotto risulta evidente come nei primi 7 mesi di quest'anno il numero dei detenuti suicidi sia quasi raddoppiato, rispetto a due anni fa, quando nelle carceri era ancora tangibile l'effetto deflattivo dell'indulto.

Di seguito l'elenco dei detenuti morti: cliccando sui nomi è possibile leggere le loro storie.


Francesco Morelli, curatore del Dossier




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Elenco del casi raccolti nel 2009 (in ordine cronologico)



Nome e cognome
Età
Data morte
Causa morte
Istituto

Aziz, marocchino
34 anni
03 gennaio 2009
Suicidio
Spoleto

Salvatore Mignone
37 anni
04 gennaio 2009
Omicidio
Secondigliano (Na)

Edward Ugwoj Osuagwu
35 anni
17 gennaio 2009
Suicidio
Torino

Rocco Lo Presti
72 anni
24 gennaio 2009
Da accertare
Torino

Detenuto croato
37 anni
26 gennaio 2009
Suicidio
Poggioreale (Na)

Francesco Lo Bianco
28 anni
27 gennaio 2009
Da accertare
Ucciardone (Pa)

M.B., detenuto italiano
60 anni
30 gennaio 2009
Suicidio
Sollicciano (Fi)

Gaetano Sorice
38 anni
31 gennaio 2009
Overdose
Teramo (scarcerato)

Vincenzo Sepe
54 anni
01 marzo 2009
Suicidio
Bellizzi Irpino (AV)

Mohamed, marocchino
26 anni
06 marzo 2009
Suicidio
S.M. Maggiore (VE)

Leonardo Di Modugno
25 anni
08 marzo 2009
Suicidio
Foggia

Giuliano D., italiano
24 anni
08 marzo 2009
Suicidio
Velletri (RM)

Giancarlo Monni
35 anni
09 marzo 2009
Malattia
Cagliari

Detenuto italiano
37 anni
16 marzo 2009
Suicidio
Poggioreale (NA)

Jed Zarog
30 anni
17 marzo 2009
Suicidio
C.C. di Padova

Detenuto algerino
42 anni
19 marzo 2009
Da accertare
C.I.E. di Roma

Marcello Russo
38 anni
22 marzo 2009
Suicidio
Voghera (PV)

Francesco Esposito
27 anni
27 marzo 2009
Suicidio
Poggioreale (NA)

Carmelo Castro
20 anni
27 marzo 2009
Suicidio
Piazza Lanza (CT)

Gianclaudio Arbola
43 anni
31 marzo 2009
Suicidio
Marsala (TP)

Detenuto tunisino
28 anni
13 aprile 2009
Suicidio
Pisa

Andrei Zgonnikov
47 anni
16 aprile 2009
Suicidio
Salerno

Antonino Saladino
57 anni
20 aprile 2009
Suicidio
Viterbo

Daniele Topi
37 anni
21 aprile 2009
Suicidio
Rimini

Ihssane Fakhreddine
30 anni
24 aprile 2009
Da accertare
Firenze

Franco Fuschi
63 anni
26 aprile 2009
Suicidio
Alessandria

Graziano Iorio
41 anni
1 maggio 2009
Suicidio
Poggioreale (Na)

Ion Vassiliu
21 anni
1 maggio 2009
Suicidio
Pisa

Nabruka Mimuni
44 anni
7 maggio 2009
Suicidio
Roma (C.I.E.)

L.P., detenuto italiano
27 anni
15 maggio 2009
Da accertare
Campobasso

Detenuto marocchino
30 anni
15 maggio 2009
Da accertare
C.C. Padova

Detenuto marocchino
25 anni
19 maggio 2009
Suicidio
Bergamo

Samir Mesbah
36 anni
27 maggio 2009
Suicidio
Firenze

Detenuto italiano
40 anni
30 maggio 2009
Malattia
Terni

Vincenzo Nappo
43 anni
09 giugno 2009
Suicidio
Opg Aversa (Ce)

Detenuto italiano
79 anni
09 giugno 2009
Malattia
Secondigliano (Na)

Antonio Chiaranza
32 anni
10 giugno 2009
Suicidio
Crotone

Anna Nuvoloni
40 anni
11 giugno 2009
Da accertare
Sollicciano (Fi)

Charles Omofowan
32 anni
14 giugno 2009
Malattia
Lanciano (Ch)

Rino Gerardi
38 anni
16 giugno 2009
Da accertare
Venezia S.M.M.

Detenuto marocchino
30 anni
18 giugno 2009
Suicidio
Brindisi (Caserma)

Detenuta italiana
35 anni
21 giugno 2009
Suicidio
Civitavecchia (Rm)

Detenuto indiano
30 anni
21 giugno 2009
Suicidio
Vercelli

G.Z. (Assistente P.P.)
43 anni
21 giugno 2009
Suicidio
S.M. Capua V. (Ce)

Khalid Husayn
79 anni
21 giugno 2009
Malattia
Benevento

Detenuta italiana
28 anni
06 luglio 2009
Da accertare
Sollicciano (FI)

Dibe Rachid Salah
35 anni
12 luglio 2009
Suicidio
Imperia

Eugenio La Ferla
34 anni
13 luglio 2009
Suicidio
Alghero (SS)

Stefano Frapporti
50 anni
21 luglio 2009
Suicidio
Rovereto (TN)

Detenuto tunisino
19 anni
25 luglio 2009
Suicidio
I.P.M. di Bari

Gerardo D’Argenzio
42 anni
27 luglio 2009
Da accertare
Lecce

Vincenzo Marino
44 anni
28 luglio 2009
Da accertare
Rebibbia (RM)

Emilio Angelini
45 anni
31 luglio 2009
Suicidio
Livorno

Antonio Virelli
24 anni
31 luglio 2009
Suicidio
Reggio Calabria






I suicidi in carcere sono in "lieve riduzione", come sostiene il Sottosegretario Caliendo? Secondo noi è esattamente il contrario, a fine anno probabilmente avremo il numero più alto di detenuti suicidi mai registrato nelle carceri italiane.










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Questo notiziario e' registrato al Registro Stampa del Tribunale di Padova (n. 1964 del 22 agosto 2005)
e al Registro Nazionale degli Operatori della Comunicazione (n. 12772 del 10 dicembre 2005).
Ha ottenuto il Marchio di Certificazione dell'Osservatorio A.B.C.O. dei Beni Culturali.

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Essere governato significa essere guardato a vista, ispezionato, spiato, diretto, legiferato, regolamentato, incasellato, indottrinato, catechizzato, controllato, stimato, valutato, censurato, comandato, da parte di esseri che non hanno né il titolo, né la scienza, né la virtù.
Essere governato vuol dire essere, ad ogni azione, ad ogni transazione, a ogni movimento, quotato, riformato, raddrizzato, corretto.
Vuol dire essere tassato, addestrato, taglieggiato, sfruttato, monopolizzato,concusso, spremuto, mistificato, derubato, e, alla minima resistenza, alla prima parola di lamento, represso, emendato, vilipeso, vessato, cacciato, deriso, accoppato, disarmato, ammanettato, imprigionato, fucilato, mitragliato, giudicato, condannato, deportato, sacrificato, venduto, tradito, e per giunta, schernito, dileggiato, ingiuriato, disonorato, tutto con il pretesto della pubblica utilità e in nome dell’interesse generale.Ecco il governo, ecco la giustizia, ecco la sua morale.
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lun ago 10, 2009 9:55 am
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Toh, proprio a tema. Una curiosa vicenda nel Bel Paese che non smette mai di stupire.
Tra l'altro Stefano Frapporti compare proprio nella lista di quei suicidi.


Domani avrebbe compiuto 50 anni e a Rovereto, con una manifestazione che partirà alle 18 da piazza Loreto, amici, parenti e le associazioni per la pace chiederanno verità e giustizia sulla sua morte.
Stefano Frapporti era un muratore di Isera, vicino a Rovereto. Tutti lo chiamavano «Cabana», era molto conosciuto in città.
E' morto nella notte tra il 21 e il 22 luglio in carcere dopo essere stato arrestato per detenzione di hashish. Stefano si è suicidato nella sua cella con il laccio della tuta che aveva indosso, intorno a mezzanotte. Ma i lati oscuri di questa vicenda sono tantissimi.

La procura ha aperto un'inchiesta per «suicidio a seguito di altro delitto». Intanto la famiglia e gli amici ancora sconvolti e confusi cercano di mettere insieme la storia che ha portato Stefano - incensurato, un tipo tranquillo, timido, con una vita regolarissima - non solo a finire in carcere, ma ad uscirne cadavere. «Vogliamo soltanto sapere la verità» dice Ida Frapporti, la sorella maggiore. Secondo quanto sono riusciti a ricostruire i famigliari, attraverso i verbali e qualche testimone oculare, le cose sono andate così: Stefano viene fermato martedì pomeriggio da due agenti in borghese mentre è in bicicletta. Perché viene fermato? «Ci è stato detto dai carabinieri - racconta Ida - che stava circolando sul marciapiede. E che loro si trovavano lì per tenere d'occhio un bar lì vicino dove ci sarebbe un giro di spaccio di hashish».
Secondo quanto raccontato da alcuni testimoni oculari, il fermo sarebbe stato anche abbastanza violento. Ma Stefano addosso non ha nulla, solo cento euro (risulterà che li aveva ritirati in banca tre giorni prima).
Forse era uscito da casa per andare a comprare qualcosa: il venerdì successivo doveva partire per le vacanze con alcuni amici. E qui accade la prima cosa strana: nel verbale c'è scritto che Stefano informa i carabinieri di avere «due spinelli», ma a casa sua. Da questa sua spontanea confessione, sarebbe partita la decisione degli agenti di fare una perquisizione a casa di Stefano. Al momento non risulta però che i militari avessero alcun mandato. Entrano nell'appartamento con lui, e lì trovano circa un etto di hashish, diviso in alcuni pezzi.
Scatta l'arresto, in base alla legge Fini-Buttiglione. Stefano si cambia, indossa una tuta e segue gli agenti, che sequestrano anche una bilancia. In una lettera scritta a L'Adige il padre, 85 anni, si stupisce del sequestro: «Gliel'avevo regalata io, l'ho comprata alla Lidl...».

In carcere per un'ora Stefano chiacchiera con le guardie. Dicono che sembrava tranquillissimo, racconta loro anche come ha perso due falangi della mano destra in un incidente sul lavoro. Si rifà il letto da solo. Alle 23.35 viene chiuso nella sua cella. Al controllo delle 24 lo trovano impiccato. Gli erano stati tolti i lacci delle scarpe ma non quello della tuta. Mistero. E i misteri proseguono: nessuno avverte la famiglia fino alle 10 della mattina dopo. «Ci hanno detto che non sapevano come rintracciarci, e che hanno dovuto aspettare il giorno dopo l'apertura dell'ufficio dell'anagrafe. Eppure avevano il telefonino di Stefano, i nostri nomi potevano trovarli lì».
Quando la famiglia viene finalmente informata si precipita in carcere. Ma non potranno vedere il corpo di Stefano - che è già stato portato nella camera mortuaria del cimitero - fino al compimento dell'autopsia, due giorni dopo. «Lo abbiamo visto che era già stato vestito. Che dire? il viso appariva un po' scuro, ma erano passati due giorni, il caldo...non so», dice Ida.
Ci sono altre cose che l'allarmano: «Il fatto che Stefano avesse firmato per non telefonare a nessuno. Mi sembra stranissimo. Io gli facevo da mamma, mi chiamava per qualsiasi sciocchezza. Il comandante della polizia penitenziaria poi mi ha raccontato che a un certo punto avrebbe voluto chiamarmi, ma avendo già firmato la rinuncia non è stato possibile». E aggiunge Ida: «Mi chiedo come un normale cittadino che va in bicicletta possa essere fermato, finire in carcere, e morire così. Tutti devono sapere».

Fonte: http://www.ilmanifesto.it/archivi/fuori ... colo/1243/

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lun ago 10, 2009 5:16 pm
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sbato ha scritto:
Gli erano stati tolti i lacci delle scarpe ma non quello della tuta.


Questa è davvero assurda, non esiste che ti fanno entrare in carcere con il laccio della tuta dei pantaloni… oltretutto, pur non facendo parte di r.i.s., mi viene spontaneo chiedermi come un muratore di 50 anni, quindi probabilmente non proprio anoressico, sia riuscito ad impiccarsi con un misero laccio della tuta…


mar ago 11, 2009 2:12 am
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Head Hunter ha scritto:
mi viene spontaneo chiedermi come un muratore di 50 anni, quindi probabilmente non proprio anoressico, sia riuscito ad impiccarsi con un misero laccio della tuta…



ci pensavo anche io....
dando per "scontato" che si tratti di un laccio simil cotone, o cmq non elastico....difficilmente la sua lunghezza va oltre al metro, facciamo un metro e venti....
In questo metro e venti avrebbe dovuto fare un bel cappio e legare l'altro capo alle sbarre, il tutto in pochissimi minuti.
Penso che dal punto di vista della manualità sia mooolto difficile poter riuscire in un impresa del genere.
Poraccio.



edit : morire soffocati è una questione piuttosto "lunga" e dubito sia silenziosa, di solito chi si impicca trova la morte per frattura dell'osso del collo, lo spessore del nodo scorsoio aiuta/facilita la rottura di quest'osso.
Sai che bel nodo verrebbe con un laccio di tuta ?
mahhhhhhhhhhhhh

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mar ago 11, 2009 7:09 am
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Nelle carceri come minimo ti usano come pungible per scaricare la tensione nervosa, tanto quando sei li sei per forza di cose un rifiuto della società.

Fai di me quel che vuoi, uccidimi pure amico poliziotto. :sisi:

Finirà anche per loro, finirà...

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"Molti mi scrivono che le firme non sono servite a nulla. Che faranno quello che vogliono comunque. Le firme sono servite per contarci.
Molti mi dicono che i Vday sono stati come una botta e via. I Vday sono serviti a vederci, toccarci, sorridere e affermare il nostro diritto a gridare che siamo vivi, siamo ancora vivi. Non ci hanno battuto e non ci batteranno mai. "

*************


mer ago 12, 2009 11:19 pm
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http://www.repubblica.it/2009/08/sezion ... gosto.html


L'iniziativa di Rita Bernardini, deputata radicale:

aderiscono parlamentari di tutti gli schieramenti
Oltre 150 deputati nelle carceri
A Ferragosto detenuti fuori per lavoro
Per tre giorni in 185 istituti di pena il confronto con una realtà sovraffollata, spesso disumana ed esplosiva
L'Osapp: "Speriamo non sia una passerella". E il Dap lancia esperimenti di servizi socialmente utili

di CARLO CIAVONI

ROMA - Alla condizione tragica ed endemica del sistema carcerario italiano, all'affollamento soffocante delle celle, alla scarsità di personale qualificato, all'assenza evidente di una guida politica del fenomeno e, non ultima, alla sua palese incostituzionalità, sarà dedicata una tre-giorni di visite di 153 parlamentari in 185 delle 221 carceri lungo tutta la Penisola, nei giorni di Ferragosto.

Si tratterà di una vera e propria ispezione di massa da parte di deputati, senatori, consiglieri regionali e garanti per i diritti dei detenuti, forse mai realizzata prima. A lanciare l'iniziativa è stata la deputata radicale -eletta nelle liste del Pd- Rita Bernardini, che ha voluto così coinvolgere i parlamentari di tutti gli schieramenti per una ricognizione nella difficilissima situazione dei penitenziari italiani e far conoscere così direttamente la realtà quotidiana di direttori, agenti, medici, psicologi, educatori e detenuti.

"Nei primi sette mesi dell'anno - ha sottolineato la Bernardini - ci sono stati quasi 100 morti, 30 dei quali si sono tolti la vita. E' evidente che ormai dal carcere si evade così, un'uscita silenziosa. Definitiva."

Dunque, lo scopo della "maxi-visita" diventa quindi semplicemente quello di verificare se il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha ragione o no nel dire che gli istituti di pena del nostro Paese “sono fuori della Costituzione”. Costituzione che, nell'articolo 27, parla di trattamento da riservare ai detenuti che non deve mai essere contrario al senso di umanità, ma anzi volto alla sua rieducazione.

La grande ispezione parlamentare, nelle giornate di venerdì 14, sabato 15 e domenica 16 agosto, parte così con una denuncia indignata della deputata promotrice, alla quale si risponde con fiacche promesse del governo, che annuncia un aumento di 1200 posti letto nelle carceri entro la fine dell'anno, quando ne servirebbero oltre 4000 e la prevedibile diffidenza dei sindacati della polizia penitenziaria.

"La si può girare come si vuole -dice Leo Beneduci, segretario generale dell'Osapp il secondo organismo di rappresentanza autonomo dopo il Sappe - nelle celle italiane ci sono circa 64 mila detenuti, cioè 4.000 in più di quanti ce ne dovrebbero stare, anche nella situazione di emergenza prevista dal ministero. Si continua insomma a far finta di niente rispetto ad un dato allarmante: cioè che ci sono mediamente 3 metri quadrati per ogni recluso, mentre ce ne dovrebbero essere 7 secondo il Parlamento Europeo".

"Non solo - aggiunge Beneduci - il cosiddetto 'piano Ionta' (Franco Ionta è il direttore del Dap, il Dipartimento per l'amministrazione penitenziaria n.d.r.) prevede uno stanziamento per l'edilizia carceraria di 1,5 miliardi, per creare 4300 posti in più entro il 2010 e di oltre 17 mila entro il 2012. Bene: il sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo ha però appena detto che in cassa non ci sono più di 500 milioni: un terzo di quanto previsto dal piano. Adesso speriamo -ha concluso Beneduci- che questa iniziativa non si riveli come la solita passerella dei politici in visita di cortesia".

I sindacati autonomi della polizia penitenziaria sono molto critici anche con il Dap per una recente circolare secondo la quale, per far fronte alle visite di Ferragosto nelle carceri, avrebbe aumentato la presenza di agenti: "Non è escluso - dicono all'Osapp - che si smobiliteranno unità da altre strutture penitenziarie, depotenziando così istituti già di per sè scoperti dove, è bene ricordarlo, registriamo fino a dieciaggressioni gravi al giorno contro il personale di sorveglianza, con referti medici oltre sette giorni di prognosi”.

Gli spazi angusti nelle carceri italiane e le conseguenti condizioni disumane degli agenti e dei detenuti - “che quando escono”, dice un funzionario del ministero che pretende l'anonimato, “sono più delinquenti di prima” - rappresentano dunque un problema cronico, con picchi come quelli della Sicilia, dove di posti letto ne mancano 608 su un totale di 4.727; o in Sardegna e in Toscana dove le carenze raggiungono rispettivamente quota 475 su 1.971 posti e 422 su 3.035.

Coinvolti nel disagio generale sono anche i 380 psicologi consulenti, che da 30 anni lavorano negli istituti penitenziari, mai regolarizzati e che con il passaggio della sanità penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale, hanno smesso di lavorare a tu per tu con i reclusi. Paola Giannelli, segretaria della Società Italiana della Psicologia Penitenziaria, ricorda che “attualmente l'assistenza psicologica è affidata agli psicologi di ruolo, che sono 19 in tutta Italia e così ad ogni detenuto non possono essere dedicate più di 3 ore l'anno".

"La conseguenza -aggiunge Giannelli- è che la risposta al disagio e all'aumento dei suicidi è unicamente medico-pcichiatrica, e quindi coerentemente si passa all'uso prevalente di psicofarmaci, che non solo incidono pesantemente sulla spesa pubblica, ma non affrontano mai le cause esistenziali delle persone recluse".

Dal canto suo, il Dap continua ad elaborare progetti di recupero ambientale e promuovere occasioni di lavoro sporadiche tra i detenuti. Progetti che vengono considerati “meritori “,dall'Osapp, più propenso ad assegnare all'attuale titolare del dicastero le maggiori responsabilità della situazione, al contrario del Sapp, il maggiore sindacato, più critico invece verso il Dap.

E' comunque un fatto che il Dipartimento dall'ottobre scorso sta lavorando ad un programma di promozione delle attività di recupero del patrimonio ambientale e per l'istituzione di agenzie per l'incentivazione del lavoro negli istituti di pena. L'obiettivo è disporre di una mappa del bacino di reclusi potenzialmente occupabili, che poi dovrebbe essere affidata ad un “poliziotto penitenziario” il quale dovrebbe valutare domanda e offerta di lavoro, attraverso l'analisi dei bisogni e delle caratteristiche delle persone in cerca di lavoro e offrire così strategie di reinserimento.

Esperienze positive ce ne sono, come quella di Milano Bollate, e a Milano Opera, dove proprio a Ferragosto 72 detenuti andranno a ripulire il greto del torrente Gura nei comuni di Masiate e Basiano. A Torino i reclusi si dedicano alla raccolta differenziata, a Chiavari si occupano della manutenzione delle aree verdi.

O ancora a Roma, con i 20 carcerati di Rebibbia che usciranno per pulire spazi pubblici della capitale.
E poi a sud altre iniziative analoghe negli istituti abruzzesi, campani, pugliesi calabresi siciliani e sardi.

(13 agosto 2009)

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Essere governato significa essere guardato a vista, ispezionato, spiato, diretto, legiferato, regolamentato, incasellato, indottrinato, catechizzato, controllato, stimato, valutato, censurato, comandato, da parte di esseri che non hanno né il titolo, né la scienza, né la virtù.
Essere governato vuol dire essere, ad ogni azione, ad ogni transazione, a ogni movimento, quotato, riformato, raddrizzato, corretto.
Vuol dire essere tassato, addestrato, taglieggiato, sfruttato, monopolizzato,concusso, spremuto, mistificato, derubato, e, alla minima resistenza, alla prima parola di lamento, represso, emendato, vilipeso, vessato, cacciato, deriso, accoppato, disarmato, ammanettato, imprigionato, fucilato, mitragliato, giudicato, condannato, deportato, sacrificato, venduto, tradito, e per giunta, schernito, dileggiato, ingiuriato, disonorato, tutto con il pretesto della pubblica utilità e in nome dell’interesse generale.Ecco il governo, ecco la giustizia, ecco la sua morale.
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MUORE IN REPARTO PSICHIATRICO, AVEVA POLSI E CAVIGLIE LEGATI

(Liberazione, 13 agosto 2009)




di Daniele Nalbone




Francesco Mastrogiovanni è morto legato al letto del reparto psichiatrico dell'ospedale San Luca di Vallo della Lucania alle 7.20 di martedì 4 agosto. Cinquantotto anni, insegnante elementare originario di Castelnuovo Cilento, era, per tutti i suoi alunni, semplicemente "il maestro più alto del mondo". Il suo metro e novanta non passava inosservato. Inusuale fra la gente cilentana. Così come erano fuori dal comune i suoi comportamenti, «dolci, gentili, premurosi, soprattutto verso i bambini» ci racconta la signora Licia, proprietaria del campeggio Club Costa Cilento. E' proprio lì che la mattina del 31 luglio decine di carabinieri e vigili urbani, «alcuni in borghese, altri armati fino ai denti, hanno circondato la casa in cui alloggiava dall'inizio di luglio per le vacanze estive». Uno spiegamento degno dell'arresto di un boss della camorra per dar seguito a un'ordinanza di Trattamento Sanitario Obbligatorio (competenza, per legge, solo dei vigili urbani) proveniente dalla giunta comunale di Pollica Acciaroli. Oscuri i motivi della decisione: si dice per disturbo della quiete pubblica. Fonti interne alle forze dell’ordine raccontano di un incidente in cui, guidando contromano, alcune sere prima, avrebbe tamponato quattro autovetture parcheggiate, «ma nessun agente, né vigile, ha mai contestato qualche infrazione e nessuno ha sporto denuncia verso l’assicurazione» ci racconta Vincenzo, il cognato di Francesco. Mistero fitto, quindi, sui motivi dell’“assedio”, che getta ovviamente nel panico Francesco. Scappa dalla finestra e inizia a correre per il villaggio turistico, finendo per gettarsi in acqua. Come non bastassero carabinieri e vigili urbani «è intervenuta una motovedetta della Guardia Costiera che dall’altoparlante avvertiva i bagnanti: “Caccia all’uomo in corso”» racconta, ancora incredula, Licia. Per oltre tre ore, dalla riva e dall’acqua, le forze dell’ordine cercano di bloccare Francesco che, ormai, è fuori controllo. «Inevitabile» commenta suo cognato «dopo quanto gli è accaduto dieci anni fa». Il riferimento è a due brutti episodi del passato «che hanno distrutto Francesco psicologicamente» spiega il professor Giuseppe Galzerano, suo concittadino e carissimo amico, come lui anarchico. Il 7 luglio 1972 Mastrogiovanni rimase coinvolto nella morte di Carlo Falvella, vicepresidente del Fronte universitario d’unione nazionale di Salerno: Francesco stava passeggiando con due compagni, Giovanni Marini e Gennaro Scariati, sul lungomare di Salerno quando furono aggrediti, coltello alla mano, da un gruppo di fascisti, tra cui Falvella. Il motivo dell’aggressione ce lo spiega il professor Galzerano: «Marini stava raccogliendo notizie per far luce sull’omicidio di Giovanni, Annalisa, Angelo, Francesco e Luigi, cinque anarchici calabresi morti in quello che dicono essere stato un incidente stradale nei pressi di Ferentino (Frosinone) dove i ragazzi si stavano recando per consegnare i risultati di un’inchiesta condotta sulle stragi fasciste del tempo». Carte e documenti provenienti da Reggio Calabria non furono mai ritrovati e nell’incidente, avvenuto all’altezza di una villa di proprietà di Valerio Borghese, era coinvolto un autotreno guidato da un salernitano con simpatie fasciste. Sul lungomare di Salerno, però, Giovanni Marini anziché morire, uccise Falvella con lo stesso coltello che questi aveva in mano. Francesco Mastrogiovanni fu ferito alla gamba. Nel processo che seguì, Francesco venne assolto dall’accusa di rissa mentre Marini fu condannato a nove anni. Nel 1999 il secondo trauma. Mastrogiovanni venne arrestato «duramente, con ricorso alla forza, manganellate e calci» spiega il cognato Vincenzo, per resistenza a pubblico ufficiale. Il motivo? Protestava per una multa. In primo grado venne condannato a tre anni di reclusione dal Tribunale di Vallo della Lucania «grazie a prove inesistenti e accuse costruite ad arte dai carabinieri». In appello, dalla corte di Salerno, pienamente prosciolto. Ma le botte prese, i mesi passati ai domiciliari e le angherie subite dalle forze dell’ordine lasciano il segno nella testa di Francesco.«Da allora viveva in un incubo»racconta Vincenzo fra le lacrime.«Una volta, alla vista dei vigili urbani che canalizzavano il traffico per una processione, abbandonò l’auto ancora accesa sulla strada e fuggì per le campagne. Un’altra volta lo ritrovammo sanguinante per essersi nascosto fra i rovi alla vista di una pattuglia della polizia». Eppure da quei fatti Mastrogiovanni si era ripreso alla grande,«tanto da essere diventato un ottimo insegnante elementare», sottolinea l’amico Galzerano, «come dimostra il fatto che quest’anno avrebbe finalmente ottenuto un posto di ruolo, essendo diciottesimo nella graduatoria provinciale». Era in cura psichiatrica ma si stava lasciando tutto alle spalle. Fino al 31 luglio. Giorno in cui salì «di sua volontà» sottolinea Licia del campeggio Club Costa Cilento «su un’ambulanza chiamata solo dopo averlo lasciato sdraiato in terra per oltre quaranta minuti una volta uscito dall’acqua». Licia non potrà mai dimenticare la frase che pronunciò Francesco in quel momento: guardandola, le disse: «Se mi portano all’ospedale di Vallo della Lucania, non ne esco vivo». E così è stato. Entrò nel pomeriggio di venerdì 31 luglio per il Trattamento Sanitario Obbligatorio. Dalle analisi risultò positivo alla cannabis. La sera stessa venne legato al letto e rimase così quatttro giorni. La misura non risulta dalla cartella clinica, ma è stata riferita ai parenti da testimoni oculari. E confermata dal medico legale Adamo Maiese, che ha riscontrato segni di lacci su polsi e caviglie della salma durante l’autopsia. Legato al letto per quattro giorni, quindi. Fino alla morte sopravvenuta secondo l’autopsia per edema polmonare. Sulla vicenda la procura di Vallo della Lucania ha aperto un’inchiesta e iscritto nel registro degli indagati i sette medici del reparto psichiatrico campano che hanno avuto in cura Mastrogiovanni. Intanto oggi alle 18, nel suo Castelnuovo Cilento, familiari, amici e alunni porgeranno l’ultimo saluto al “maestro più alto del mondo”.

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Essere governato significa essere guardato a vista, ispezionato, spiato, diretto, legiferato, regolamentato, incasellato, indottrinato, catechizzato, controllato, stimato, valutato, censurato, comandato, da parte di esseri che non hanno né il titolo, né la scienza, né la virtù.
Essere governato vuol dire essere, ad ogni azione, ad ogni transazione, a ogni movimento, quotato, riformato, raddrizzato, corretto.
Vuol dire essere tassato, addestrato, taglieggiato, sfruttato, monopolizzato,concusso, spremuto, mistificato, derubato, e, alla minima resistenza, alla prima parola di lamento, represso, emendato, vilipeso, vessato, cacciato, deriso, accoppato, disarmato, ammanettato, imprigionato, fucilato, mitragliato, giudicato, condannato, deportato, sacrificato, venduto, tradito, e per giunta, schernito, dileggiato, ingiuriato, disonorato, tutto con il pretesto della pubblica utilità e in nome dell’interesse generale.Ecco il governo, ecco la giustizia, ecco la sua morale.
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A Sollicciano carabinieri e polizia presidiano dall'esterno la struttura e sono pronti a intervenire
Il sindacato degli agenti penitenziari denunciano il "colpevole silenzio" dell'amministrazione
Detenuti in rivolta a Perugia, Como, Firenze
"Nelle carceri italiane situazione esplosiva"


Il carcere di Sollicciano
ROMA - Lenzuola incendiate, inferriate battute, slogan di protesta. Negli ultimi giorni si stanno moltiplicando le proteste dei detenuti rinchiusi nelle carceri italiane: lamentano il sovraffollamento che, con l'ondata di afa, sta assumendo i contorni di un'emergenza.

A Como i detenuti del "Bassone" per tre giorni hanno battuto le sbarre con i loro oggetti personali. Chiedono più spazio, essendo in 600 all'interno di celle che ne dovrebbero contenere circa la metà. Stessi motivi all'origine della protesta di Ferragosto ad Arezzo.

Ieri notte e questa mattina la scena si è ripetuta a Sollicciano, a Firenze: i detenuti (950 in una struttura che ne dovrebbe contenere 400) hanno gridato slogan per l'indulto e contro il sovraffollamento lanciando nei corridoi lenzuola incendiate. "Convocheremo per domani la commissione detenuti e parleremo con loro - ha annunciato il direttore Oreste Cacurri - Al momento comunque la situazione è tollerabile. Non sono stati fatti danni importanti, né qualcuno si è sentito male o si è ferito". All'esterno del carcere sono state schierate pattuglie di polizia e carabinieri, pronte a dare supporto agli agenti di polizia penitenziaria, ma finora non c'è stato bisogno del loro intervento. Il garante dei detenuti Franco Corleoni ha spiegato che, all'origine della rivolta, vi sarebbe anche la distribuzione nei giorni scorsi di pane ammuffito: "Da tempo raccolgo lamentele sulla qualità del vitto e anche sulla quantità. D'altra parte osservo che in Toscana il cibo distribuito nelle carceri ha un costo medio per detenuto di 1,53 euro a pasto, una cifra che deve far riflettere".

A Perugia l'allarme è scattato per un incendio all'interno di una cella, provocato da un detenuto che ha tentato di dare fuoco al suo materasso. Gli altri carcerati sono stati trasferiti nei passeggi, gli spazi utilizzati per l'ora d'aria, e dopo poco hanno fatto ritorno nelle loro celle. Anche in questo caso la situazione è critica: la popolazione è passata dai 243 detenuti del 2008 ai 485 di oggi.

Situazione analoga a quella di altri istituti italiani dove non sono state inscenate eclatanti proteste, anche se la situazione resta drammatica. Nel carcere di Poggioreale, ad esempio, si fronteggia il caldo facendo i turni per bagnare le lenzuola e appenderle al soffitto.

Secondo il segretario generale della Uil Pa penitenziari, Eugenio Sarno, le rivolte sarebbero fomentate da detenuti romeni e albanesi. "La deriva violenta delle proteste è motivo di profonda preoccupazione", anche perché "non può favorire il confronto".

Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe), punta l'indice contro l'Amministrazione penitenziaria che resta "in colpevole silenzio". Torna, quindi, a sollecitare il premier Berlusconi e il guardasigilli Alfano a "porre l'emergenza penitenziaria tra le priorità di intervento dell'esecutivo". Capece chiede "provvedimenti deflattivi che potenzino il ricorso alle misure alternative alla detenzione con contestuale impiego nei lavori socialmente utili dei detenuti con pene brevi", oltre ad "assunzioni per un corpo di polizia carente di ben 5mila unità".

Il dibattito, inevitabilmente, coinvolge la politica. C'è chi, come il senatore del Pdl Achille Totaro, chiede che gli extracomunitari siano trasferiti nelle prigioni dei loro paesi. O chi come la senatrice del Pd Donatella Poretti, dopo aver visitato il carcere di Arezzo, denuncia la situazione insostenibile di celle che dovrebbero ospitare quattro persone e che ne contengono il doppio.

(18 agosto 2009)

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http://roma.repubblica.it/dettaglio/det ... ta/1760437







Detenuto di Regina Coeli muore al Pertini
Manconi e Gonnella: "Morte sospetta"
Stefano Cucchi, 31 anni, arrestato per possesso di droga viene rinchiuso a Regina Coeli il 16 ottobre scorso, poi trasferito all'ospedale Pertini di Roma muore subito dopo. Sul suo corpo i genitori hanno riscontrato tumefazioni e lesioni. A denunciare una morte "su cui fare chiarezza e giustizia" sono Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, l'associazione che si batte per i diritti nelle carceri, e Luigi Manconi , presidente di 'A Buon Diritto'.

"La morte di Stefano Cucchi avvenuta all'ospedale Pertini (reparto detentivo) richiede un immediato chiarimento", dichiarano Gonnella e Manconi. "Trentunenne, di corporatura esile, viene arrestato pare per modesto possesso di droga il 16 ottobre scorso - raccontano - Al momento dell'arresto da parte dei carabinieri, secondo quanto riferito dai familiari, stava bene, camminava sulle sue gambe, non aveva segni di alcun tipo sul viso. La mattina seguente, all'udienza per direttissima, il padre nota tumefazioni al volto e agli occhi".

"Cucchi - notano Gonnella e Manconi - non viene inviato agli arresti domiciliari, eppure i fatti contestati non sono di particolare gravità". Dal carcere, invece, viene disposto il ricovero all'ospedale Pertini. "Pare per 'dolori alla schiena'". "Ai genitori non è consentito di vedere il figlio - sostengono ancora Gonnella e Manconi - L'autorizzazione al colloquio giunge per il 23 ottobre ma è troppo tardi perchè Stefano Cucchi muore la notte tra il 22 e il 23 ottobre. I genitori rivedono il figlio per il riconoscimento all'obitorio e si trovano di fronte a un viso devastato".

"Una morte tragica, sospetta - dicono - che richiede risposte dalla magistratura, dall'amministrazione penitenziaria, dai carabinieri, dai medici del Pertini e dalla Asl competente: perchè Stefano Cucchi aveva quei traumi? Perchè ai genitori è stato impedito di incontrare il figlio per lunghi sei giorni? Perchè non gli sono stati concessi gli arresti domiciliari neanche fosse il più efferato criminale?". Manconi e Gonnella concludono chiedendo che vengano "rese pubbliche le foto del viso tumefatto di Cucchi, posto che in Italia capita spesso che i verbali degli interrogatori a base di inchieste importanti vengono immediatamente trascritti sui giornali".

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Vuol dire essere tassato, addestrato, taglieggiato, sfruttato, monopolizzato,concusso, spremuto, mistificato, derubato, e, alla minima resistenza, alla prima parola di lamento, represso, emendato, vilipeso, vessato, cacciato, deriso, accoppato, disarmato, ammanettato, imprigionato, fucilato, mitragliato, giudicato, condannato, deportato, sacrificato, venduto, tradito, e per giunta, schernito, dileggiato, ingiuriato, disonorato, tutto con il pretesto della pubblica utilità e in nome dell’interesse generale.Ecco il governo, ecco la giustizia, ecco la sua morale.
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Detenuto di Regina Coeli muore al Pertini
Manconi e Gonnella: "Morte sospetta"
Stefano Cucchi, 31 anni, arrestato per possesso di droga viene rinchiuso a Regina Coeli il 16 ottobre scorso, poi trasferito all'ospedale Pertini di Roma muore subito dopo. Sul suo corpo i genitori hanno riscontrato tumefazioni e lesioni. A denunciare una morte "su cui fare chiarezza e giustizia" sono Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, l'associazione che si batte per i diritti nelle carceri, e Luigi Manconi , presidente di 'A Buon Diritto'.

"La morte di Stefano Cucchi avvenuta all'ospedale Pertini (reparto detentivo) richiede un immediato chiarimento", dichiarano Gonnella e Manconi. "Trentunenne, di corporatura esile, viene arrestato pare per modesto possesso di droga il 16 ottobre scorso - raccontano - Al momento dell'arresto da parte dei carabinieri, secondo quanto riferito dai familiari, stava bene, camminava sulle sue gambe, non aveva segni di alcun tipo sul viso. La mattina seguente, all'udienza per direttissima, il padre nota tumefazioni al volto e agli occhi".

"Cucchi - notano Gonnella e Manconi - non viene inviato agli arresti domiciliari, eppure i fatti contestati non sono di particolare gravità". Dal carcere, invece, viene disposto il ricovero all'ospedale Pertini. "Pare per 'dolori alla schiena'". "Ai genitori non è consentito di vedere il figlio - sostengono ancora Gonnella e Manconi - L'autorizzazione al colloquio giunge per il 23 ottobre ma è troppo tardi perchè Stefano Cucchi muore la notte tra il 22 e il 23 ottobre. I genitori rivedono il figlio per il riconoscimento all'obitorio e si trovano di fronte a un viso devastato".

"Una morte tragica, sospetta - dicono - che richiede risposte dalla magistratura, dall'amministrazione penitenziaria, dai carabinieri, dai medici del Pertini e dalla Asl competente: perchè Stefano Cucchi aveva quei traumi? Perchè ai genitori è stato impedito di incontrare il figlio per lunghi sei giorni? Perchè non gli sono stati concessi gli arresti domiciliari neanche fosse il più efferato criminale?". Manconi e Gonnella concludono chiedendo che vengano "rese pubbliche le foto del viso tumefatto di Cucchi, posto che in Italia capita spesso che i verbali degli interrogatori a base di inchieste importanti vengono immediatamente trascritti sui giornali".



Ci si aspetta qualcosa di diverso dal lercio stato italiano?
Ora come ora, o si fa la rivoluzione con le armi contro tutta questa feccia cattocomunistnazifascioperbenista ma la vedo dura con tutta la massa di indifferenti o entusiasti.... o si sta in guardia, sul chi vive, evitando come la peste gli sbirri e di dar loro un valido motivo politico per portarti dove non uscirai più. Come?
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Luddista ha scritto:

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Una rivoluzione non si fa a colpi di spacconate, e meno ancora a colpi di vacue ingiunzioni dal fracasso di latta.
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Ostcia Leon...questa non la sapevo, non che sia in effetti cosi' ferratissimo in materia come suppongo te e tanti altri...il giusto.
Che il destino ci trovi sempre forti e degni, comunque...

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ok ma cosa intende per rivoluzione un nazista integralista cattolico? anche Hitler e Stalin parlavano di rivoluzione, i risultati si son visti.

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La cosa peggiore in quei momenti è la totale perdita di punti di riferimento: ci sono decine di invasati che ti svegliano dal sonno a forza di bastonate, provi disperatamente a ricordare che cosa hai fatto per cercare di dare un senso a tutto questo e la prima cosa che ti viene in mente è di chiamare la polizia.. ed è orribile capire che la polizia è già li, in massa..
testimonianza diretta di una vittima del massacro alla scuola Diaz - Genova - Luglio 2001


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ok ma cosa intende per rivoluzione un nazista integralista cattolico? anche Hitler e Stalin parlavano di rivoluzione, i risultati si son visti.


Nazista, integralista e cattolico, riferiti tutti ad una stessa persona, fa veramente brutto :asd:

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O forse non è qui il problema
e ognuno vive dentro ai suoi egoismi vestiti di sofismi
e ognuno costruisce il suo sistema
di piccoli rancori irrazionali, di cosmi personali,
scordando che poi infine tutti avremo
due metri di terreno...



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ok ma cosa intende per rivoluzione un nazista integralista cattolico? anche Hitler e Stalin parlavano di rivoluzione, i risultati si son visti.


la frase poi continua con "Qualsiasi rivoluzione che arricchisce è frutto d'una lunga preparazione intellettuale."
senza voler andare troppo o.t. dato che il topic in sè è molto interessante, meglio 100 stalin che un solo anno di pseudo-democrazia antifascista. su Hitler, vabbè lo sai come la penso. comunque ti consiglierei di approfondire un minimo il personaggio di Degrelle, lasciando per un attimo da parte i pregiudizi su nazista e cattolico, potresti trovarlo molt più interessante di quwello che pensi, io stesso che vedo il cristianesimo come una piaga sociale, considero Léon Degrelle un’ esempio. Politicamente e umanamente.
p.s. che poi era sì iper cattolico, ma non integralista


gio ott 29, 2009 2:24 pm
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